Employer Branding su LinkedIn: guida definitiva 2020

Employer Branding su LinkedIn: pochi sanno che, se sommiamo i contatti LinkedIn dei dipendenti di un’azienda, otteniamo un numero che è 10 volte più grande del numero dei follower sulla pagina ufficiale di quell’azienda.

Inoltre, quando un dipendente condivide un post ufficiale della pagina, quel post è letto, visto, cliccato e condiviso 2 volte in più rispetto al post originale.

Questo significa che la capacità di coinvolgere i propri dipendenti come ambasciatori di brand è il vero e centrale elemento del successo di una strategia di Employer Branding su LinkedIn nel 2020.

Nell’articolo vogliamo raccontarvi più nel dettaglio perché coinvolgere i dipendenti su LinkedIn è importante, quando è importante farlo e soprattutto come si fa praticamente per rendere i tuoi colleghi degli ambasciatori attivi del brand dell’azienda su LinkedIn.

Perché?

Perché riteniamo che il dipendente non venga pagato per parlare bene della sua azienda: ergo, se lo fa, è perché ci crede.

Questa autenticità, unito all’enorme potenziale in termini di portata (10x) del network dei dipendenti di un’azienda, rende imperativo per le aziende avere un piano per coinvolgere i dipendenti nelle attività di Comunicazione e di Employer Brand dell’azienda su LinkedIn.

Questo vale per le aziende di ogni settore: se la pagina ufficiale saprà pubblicare dei contenuti che i dipendenti sono orgogliosi di condividere con il proprio network professionale su LinkedIn, riuscirà ad accedere a tutto il potenziale inesplorato di questo social così importante.

Inoltre, il successo di una comunicazione di Employer Branding su LinkedIn dipende anche dalla capacità dell’azienda di investire in modo efficace sulla sponsorizzazione dei contenuti organici di Employer Brand grazie a LinkedIn Advertising.

Employer Branding su LinkedIn Bozzato
Employer Branding su LinkedIn Bozzato

Employer Branding: cos’è?

Il significato di Employer Branding è, letteralmente, la capacità per l’azienda di promuoversi sul mercato del talento come datore di lavoro appetibile.

Tradizionalmente, il termine “Employer Branding” é quindi associato alle assunzioni: si fa Employer Branding quando c’è la necessità, per l’azienda, di intercettare particolari figure da inserire in organico ma si fatica a trovarle per la competizione presente sul mercato.

Ma l’Employer Brand è importante perché oggi le persone sono sempre più attente ai valori dell’azienda e al modo in cui l’azienda tratta le proprie persone e rispetta la diversità e l’inclusione.

Se l’azienda ha una pessima reputazione come datore di lavoro i clienti possono decidere di portare la loro fedeltà verso il brand dell’azienda e i suoi prodotti e servizi da un’altra parte, ad esempio da un concorrente con una migliore reputazione come datore di lavoro.

Purtroppo, non basta che l’azienda dica di avere certi valori: lo deve anche dimostrare.

Non basta neanche che sia l’azienda stessa a comunicare contenuti che dimostrano che ha determinati valori: è fondamentale che siano i dipendenti stessi a testimoniare che, quando l’azienda dice di avere certi valori, li ha effettivamente e non lo dice solo perché è giusto dirlo.

Tra tutti i social, LinkedIn è l’unico dove la voce dell’azienda e quella dei dipendenti sta nello stesso luogo.

Azienda e persone sono legati a doppio filo da quella che Reid Hoffman, fondatore di LinkedIn, ha chiamato “Alleanza”: nella sua visione, aziende e persone lavorano insieme fin quando è di reciproco vantaggio.

È per questo che LinkedIn è l’unico social dove, se visito la pagina di un’azienda, posso vedere tutti i dipendenti collegati. Viceversa, sul profilo della persone, compare il logo dell’azienda in cui lavorano.

Questo stretto legame rende LinkedIn un social che va usato con logiche molto diverse dai social tradizionali, e che richiede internamente un’alleanza strategica tra HR e Marketing.

Employer Branding: Termini da Conoscere 

Oltre al termine “Employer Branding” è importante conoscere il significato di altri termini, spesso inglesi, che vengono associati o gravitano attorno all’argomento principale.

“Talent Market” e “Talent Competitor”

Il mercato della competizione per queste figure viene chiamato “Talent Market”, o Mercato del Talento, ed i concorrenti su questo mercato vengono definiti “Talent Competitor”: sono quindi aziende che possono anche non essere concorrenti diretti di mercato dell’azienda – cioè non vendono gli stessi servizi o prodotti allo stesso target – ma competono per quel particolare talento per vicinanza geografica oppure per maggiore appetibilità.

“Employer Value Proposition”

Abbreviata in EVP, è la promessa dell’azienda come datore di lavoro nei confronti del proprio talent marketing di riferimento.

È spesso associata a uno slogan, un motto per renderla facilmente ricordabile e condivisibile da tutti. Può essere ulteriormente spiegata dividendola in pilastri (pillar) che rappresentano i fondamenti della promessa.

Nella “guerra per il talento”, cioè la battaglia che tutte le grandi aziende e sempre più anche le medie oggi combattono per assicurarsi i profili migliori rispetto ai talent competitor, una EVP distintiva aiuta l’Employer Brand dell’azienda a creare una associazione mentale più chiara nella testa del candidato.

“Employee Ambassadorship”

È il termine che definisce i progetti e le strategie che hanno come obiettivo quello di coinvolgere i dipendenti e trasformali in ambasciatori del brand.

Un progetto di “Employee Ambassadorship” è composto di diversi passi:

  • identificazione degli obiettivi per cui attivare il progetto;
  • selezione dei colleghi migliori per fare da ambasciatori;
  • motivazione e formazione su LinkedIn;
  • affiancamento, tutoring e ricompense materiali o immateriali.

“Personal Branding”

È un concetto molto ampio che, ridotto ai minimi termini, ha a che fare con le strategie e le tattiche di promozione del brand personale, nel nostro caso su LinkedIn.

È importante conoscerlo perché un vero ambasciatore del brand cura prima la propria immagine e reputazione e poi quella dell’azienda.

Questo è specialmente vero per chi lavora nelle HR. Spesso è infatti la prima finestra di un’azienda su LinkedIn: perciò è fondamentale curare un profilo LinkedIn HR.

Se un utente condivide i post della propria azienda su LinkedIn è fondamentale che siano dei post che egli condivide per orgoglio e senso reale di appartenenza, non per “patriottismo” di comodo.

Un atteggiamento falso farà perdere alla persona il rispetto dei suoi contatti e quindi è un atteggiamento che per nessun motivo va incoraggiato dall’azienda.

Employer Branding: Analisi della definizione

La definizione di Employer Branding che abbiamo dato in precedenza, tuttavia, è stata spesso male interpretata dalle aziende, che hanno preferito concentrarsi sulle tecniche di Employer Branding anziché sviluppare una strategia di Employer Branding.

Quindi hanno trasformato l’Employer Branding in una leva tattica di breve periodo, portandolo più vicino a concetti come HR Marketing o Talent Acquisition. Così facendo, le aziende hanno fatto una corsa folle a dotarsi di strumenti, anche molto costosi, che però non hanno spostato di una virgola la capacità dell’azienda di attrarre determinate figure.

Questo perché l’Employer Branding è una leva strategica di lungo periodo e ha a che fare con la Comunicazione e non con gli Strumenti.

Una strategia di Employer Branding efficace si basa sul presupposto che:

  • l’Employer Branding è un investimento strategico di lungo termine per l’azienda;
  • Comunicare l’Employe Brand va fatto in modo costante e ininterrotto.

Perciò le aziende che vogliono fare “campagne di Employer Branding su LinkedIn” non stanno facendo, in realtà, Employer Branding.

Le aziende dovrebbero riflettere di più sul fatto che le persone non cambiano lavoro per un messaggio magico su LinkedIn o per la telefonata di un recruiter: devono prima avere degli elementi che rendano appetibile la decisione di lasciare il proprio lavoro per la nuova azienda.

Chiedere a una persona di lavorare per la tua azienda, infatti, significa spesso chiederle di:

  • cambiare lavoro;
  • lasciare, cambiare o trasferire vita sociale e famiglia;
  • ipotecare i suoi prossimi 3-5 anni di vita professionale.

Si tratta quindi di un bell’impegno.

Per queste ragioni, chiedere a una persona di lavorare per la tua azienda con un messaggio magico, senza aver comunicato con lei nei 6 mesi precedenti, equivale a ricevere una mail di vendita da un brand di cui non hai mai sentito parlare, o poco.

Quella mail finisce automaticamente nel cestino.

Branding o Employer Branding? Similarità nei concetti

L’Employer Branding ha più a che fare con la Comunicazione che con gli Strumenti e possiamo vederlo andando a recuperare la definizione di Branding.

Il Branding è quel processo che le aziende operano con l’obiettivo di differenziare la propria offerta dalle altre presenti sul mercato, usando anche nomi o simboli distintivi. Il Branding serve a promuovere l’immagine di marca, fidelizzare i clienti esistenti e attrarne di altri da fidelizzare.

È quindi un beneficio sia per l’azienda sia per il cliente o potenziale cliente finale: infatti, grazie a una comunicazione differenziante, la persona (B2C) o il decisore aziendale (B2B) riesce a identificare al meglio i prodotti o servizi specifici.

Questo riduce i dubbi e le frizioni di acquisto, riducendo i tempi per prendere una decisione e migliorando la soddisfazione e l’esperienza dell’acquirente. Inoltre, una politica di comunicazione di branding fatta bene fidelizza il cliente, invogliandolo a rimanere col brand e acquistare altri dei suoi prodotti o servizi.

Lo stesso concetto si applica all’Employer Branding, e in modo ancor più radicale: infatti chiedere a una persona di lavorare per la tua azienda, e spesso addirittura di cambiare lavoro per farlo, significa chiedergli di ipotecare i suoi prossimi 3-5 anni di vita.

La comunicazione di Employer Branding ha quindi uno scopo più ampio rispetto a quello assegnato dalla definizione tradizionale di Employer Branding, per come lo hanno interpretato le aziende.

Queste aziende stanno facendo HR Marketing: senza una strategia di posizionamento di Employer Branding stanno mettendo in atto tattiche di breve periodo che non hanno un vero scopo e non fanno altri, in ultima analisi, che bruciare i budget inutilmente i budget dell’azienda.

La definizione tradizionale di Employer Branding riletta nel breve termine, inoltre, non prende in considerazione un altro aspetto fondamentale che è quello della fidelizzazione.

Infatti una buona strategia di Employer Branding non solo aiuta l’azienda a posizionarsi in un certo modo sul mercato del talento per attrarre figure che le servono, ma aiuta anche l’azienda a creare e rafforzare il senso di appartenenza delle persone che già lavorano in azienda, diminuendo il rischio di turnover e aumentando la produttività e la connessione tra i colleghi in tutto il mondo.

Perché è fondamentale considerare i dipendenti in una strategia di Employer Branding

Una delle strategie di Employer Branding più efficaci su LinkedIn è anche una delle meno usate: coinvolgere e attivare i propri colleghi perché diventino ambasciatori dell’Employer Brand.

Infatti il network dei dipendenti di un’azienda su LinkedIn, cioè la somma dei loro contatti sul social professionale più grande al mondo, è pari ad almeno 10 volte il numero di follower sulla pagina ufficiale.

Questo significa che, attivando i tuoi colleghi su LinkedIn, puoi raggiungere 10 volte le persone che raggiungi con la pagina ufficiale dell’azienda!

Inoltre i follower dei tuoi dipendenti si fidano molto di più dei tuoi dipendenti che della tua pagina: se è un tuo collega a condividere un post ufficiale questo viene letto, cliccato, condivido 2 volte in più rispetto a quello della pagina.

I contatti di un utente LinkedIn stabiliscono con esso un legame anche emotivo, di connessione personale: legame che difficilmente riesci a creare pubblicando solo post istituzionali sulla tua pagina.

È LinkedIn stesso a mettere in evidenza questo aspetto: quando visitiamo una pagina azienda, uno dei primi dati che vediamo in alto a destra è il nome e il numero dei nostri contatti – ex colleghi di lavoro o di studi – che oggi lavorano in quell’azienda.

Anche i candidati fanno background check sull’azienda, soprattutto su LinkedIn. Il 75% degli utenti LinkedIn infatti, sono candidati passivi, cioè persone che non cercano attivamente lavoro.

La maggior parte delle persone usa LinkedIn per ricevere notizie e aggiornamenti professionali e per allargare la propria rete di conoscenze di lavoro, che potrà servire anche, in futuro, per fare un cambio di carriera ma non è l’interesse principale.

Perciò è ancora più cruciale avere una strategia di Employer Branding per dialogare con queste persone su LinkedIn: potrebbero infatti volerci 6 o addirittura 12 mesi per entrare, come azienda, nella lista dei datori di lavoro ideali per una persona e convincerla che deve lasciare la sua azienda, oppure scegliere voi tra le altre opzioni che ha come primo impiego.

Employer Branding su LinkedIn con ERG Luca Bozzato (1)

Coinvolgere i dipendenti: pro e contro

“E se coinvolgo i miei dipendenti su LinkedIn e questi usano la visibilità per cercarsi un nuovo lavoro?”

È un’obiezione molto importante dei manager in azienda e spesso, se non si riesce a rispondere con convinzione, tutti i progetti LinkedIn vengono bloccati, frenando l’azienda dall’ottenere quell’effetto moltiplicatore 10x che potrebbe ottenere coinvolgendo i colleghi su LinkedIn.

Alcuni dipendenti useranno la visibilità per cercarsi un nuovo lavoro: questo è inevitabile. Secondo numerosi studi, le persone insoddisfatte del rapporto col proprio capo o che non vedono spazi di crescita in azienda sono le prime ad andarsene.

Tuttavia va considerato che le persone insoddisfatte, che vogliono cambiare lavoro, lo fanno con o senza LinkedIn. Ma cambiare lavoro richiede tempo: nel frattempo che questa persona ha usato LinkedIn per i suoi scopi personali, allargando la propria rete di conoscenze, ha di fatto portato nuove persone nell’ambito della sfera di influenza del brand aziendale e della pagina azienda.

Anzi, i migliori ambasciatori del brand su LinkedIn sono quelli che non parlano quasi mai del brand ma portano avanti i propri progetti personali di autopromozione.

I dati raccolti dalle aziende con cui lavoriamo ci dicono che, nel caso peggiore, per ogni persona che se ne va dall’azienda usando LinkedIn, l’azienda ne guadagna da LinkedIn altre 5.

Se il rischio c’è, quindi, è un rischio calcolato a fronte di un beneficio molto maggiore.

Va inoltre considerato un altro punto a favore, che solitamente le aziende non considerano: coinvolgere i dipendenti su LinkedIn rafforza il loro legame con l’azienda.

Infatti il tuo dipendente, con i contatti e le informazioni che trova su LinkedIn può fare meglio il proprio lavoro e questo aumenta la sua soddisfazione personale ma anche il suo valore in azienda.

Tuttavia, l’utente medio di LinkedIn non sa bene come usarlo veramente o come curare la propria immagine personale. È quindi molto contento quando l’azienda si dimostra al passo con i tempi e investe tempo ed energie per insegnare il modo migliore di stare sulla piattaforma e trarne il massimo vantaggio.

Come coinvolgere i dipendenti in una strategia di Employer Branding

Per prima cosa, l’azienda deve avere ben chiaro qual è l’obiettivo, in termini di posizionamento di Employer Brand, di coinvolgere i dipendenti.

Questo porta valore anche all’azienda in generale: ad esempio, se un’azienda ha una pessima reputazione come datore di lavoro le persone possono scegliere di indirizzare loro fedeltà verso un altro concorrente sul mercato.

Non curare la propria reputazione come datore di lavoro nel mondo dei social, dove le informazioni – vere o false – circolano molto velocemente è quindi un problema non solo del reparto Risorse Umane ma anche del reparto Comunicazione e Marketing.

L’azienda deve quindi:

  • avere chiaro l’obiettivo strategico del proprio posizionamento di Employer Branding;
  • definire una EVP per allineare gli stakeholder interni sulla linea di comunicazione di Employer Branding che l’azienda vuole mantenere su LinkedIn;
  • produrre contenuti facilmente condivisibili dai dipendenti per promuovere ambassadorship “spontanea”;
  • Identificare gli ambassador spontanei tra i colleghi che condividono questi contenuti.

A questo punto, l’azienda deve identificare dei testimonial chiave che rispondono alle esigenze del progetto originale.

Ad esempio se l’azienda vuole attirare

  • talenti nel campo dell’informatica: deve avere come ambasciatore su LinkedIn il CIO o il CTO;
  • giovani laureati che si occupano di innovazione: il CEO deve essere attivo su LinkedIn a raccontare la propria visione;
  • ingegneri meccanici o elettronici: il COO è la persona più importante da mettere in mostra su LinkedIn.

E così via.

Dopo aver selezionato le persone occorre:

  • chiedere la loro disponibilità effettiva;
  • stipulare un accordo informale in cui l’azienda fornisce il suo supporto in cambio della disponibilità della persona a usare LinkedIn in modo costante;
  • dare formazione e supporto agli ambassador per muovere i primi passi, finché sono autonome;
  • condividere internamente i successi LinkedIn degli ambassadors per generare nuove richieste di adesione al programma e sensibilizzare gli altri livelli decisionali.
Employer Branding su LinkedIn con Mondelez International Luca Bozzato

Quanto costa coinvolgere i dipendenti su LinkedIn?

Spesso le aziende non sanno quanto costa un progetto di Employer Branding su LinkedIn che coinvolga i dipendenti.

C’è bisogno di una consulenza specifica per inserire LinkedIn in azienda, ma spesso le aziende non lo sanno.

Al costo dello strumento LinkedIn, infatti, vanno associati altri investimenti: consulenza, operatività di comunicazione, formazione e tutoring delle persone.

Una strategia di Employer Branding su LinkedIn, infatti, è un progetto che dura almeno 12-24 mesi, dove il 50% del tempo dovrebbe essere interamente dedicato allo startup di progetto e quindi essere visto come una sorta di investimento a fondo perduto per raccogliere dati e benchmark che oggi le aziende non hanno.

Le aziende fanno già grossi investimenti in software, dove il software è la parte minore dell’investimento. Ad esempio, per installare mostri sacri come SAP, l’azienda sa che per ogni 1€ speso in software deve investire 3-4€ tra: analisi, customizzazione, disegno di nuovi processi, selezione di nuove risorse o formazione di risorse esistenti, e così via.

Lo stesso vale per LinkedIn: l’azienda che intende fare seriamente uno sforzo economico che generi un ritorno effettivo deve essere preparata a investire almeno 2€ per ogni 1€ speso su LinkedIn.

Se, quindi, l’azienda ha acquistato 30’000 € di soluzioni LinkedIn in un determinato anno fiscale, dovrebbe anche aver messo a budget almeno 50’000 € di consulenza, formazione e servizi con l’obiettivo di far funzionare quell’investimento.

Questo perché senza la consulenza, la formazione o dei servizi in outsourcing a supporto di LinkedIn, l’azienda tende a usare lo strumento con logiche sbagliate che permettono di accedere a meno del 10% del suo potenziale, trasformando LinkedIn spesso in un costo improduttivo.

Questo è drammaticamente vero per tutte quelle aziende che hanno budget LinkedIn annuali ben superiori a questo (a partire dai 200’000 € / anno) ma che poi si lamentano che LinkedIn “non funziona” o non funziona come dovrebbe per i soldi che hanno investito.

Ma non è un problema di LinkedIn: il problema è che l’azienda ha acquistato ciecamente in strumenti ma non ha creato le condizioni interne per farli funzionare a dovere.

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